Tra gli animali vengono privilegiati í più estranei alla tradizione poetica: pesci, pappagalli, pidocchi, grilli, mosche, pulci. O zanzare, come in questo caso.
Gianfrancesco Maria Materdona, nato in provincia di Lecce, fu sacerdote. Non si hanno notizie precise della sua vita. Oltre alle poesie, raccolte nelle Rime (1629), scrisse opere edificanti, come Le lettere di buone fèste (1624) e L’utile spavento del peccatore (1629)
Animato rumor, tromba vagante,
che solo per ferir talor ti posi,
turbamento de l’ombre e de’ riposi,
fremito alato e mormorio volante;per ciel notturno animaletto errante,
pon freno ai tuoi susurri aspri e noiosi;
invan ti sforzi tu ch’io non riposi:
basta a non riposar l’esser amante.Vattene a chi non ama, a chi mi sprezza
vattene; e incontro a lei quanto più sai
desta il suono, arma gli aghi, usa fierezza.D’aver punta vantar sì ti potrai
colei, ch’Amor con sua dorata frezza
pungere ed impiagar non poté mai.
Questa poesia più delle altre di questa sezione si propone come una “arguzia”, in cui le immagini inattese e gli accostamenti sorprendenti assumono un tono apertamente scherzoso. Dal punto di vista tematico, l’intonazione arguta del sonetto è data dal parallelismo tra le pene d’amore e le pene determinate dal morso della zanzara: il poeta soffre già abbastanza per conto suo, senza bisogno delle punture del fastidioso insetto, e per questo lo invita a sfogarsi sulla donna, che non è afflitta da nessuna pena d’amore. Grazie a questo impoetico accostamento il motivo canonico della ferita amorosa, che i petrarchisti avevano ripreso in infinite variazioni per cantare le sofferenze dell’innamorato non ricambiato, viene ripreso in chiave ironica e giocosa. Dal punto di vista stilistico l’aspetto più interessante del sonetto è il suo carattere quasi acrobatico di sfida virtuosistica: pur parlando dal primo verso all’ultimo della zanzara, Materdona si è prefisso di non chiamarla mai per nome, costringendosi a ricorrere a un accumulo di perifrasi, metafore, iperboli che consentono all’artista di esibire la sua abilità, e al lettore di sperimentare quella “meraviglia” che è lo scopo fondamentale del poeta barocco.